pubbli larga

giovedì 27 giugno 2013

Il principe indiano

Venne un giorno in treno con uno zaino piccolo piccolo.

Non abbiamo mai saputo come faceva ma evidentemente quello zaino era magico e riusciva a farci stare dentro di tutto.
Infatti si cambiava la maglietta anche tre volte al giorno come le vallette di Sanremo, sempre in ordine e sempre preciso.
Le scarpe non c'entravano però, quelle stavano appese fuori dallo zaino.

Aveva un buon profumo, di dopobarba, di spezie e di esotico. Io ho sempre pensato che sapesse di ylang ylang o di patchiuli, ignoro che odore abbiano ma già il nome secondo me era proprio azzeccato.
Non parlava molto l'italiano, abbiamo tentato di comunicare varie volte ma senza grandi risultati, delle volte non mi capiva lui, delle volte non lo capivo io, alla fine abbiamo ricorso al linguaggio internazionale del sorriso.
Non chiedeva mai nulla, non aveva mai richieste personali ma due volte al giorno c'era il suo imprescindibile momento del tè .

Veniva dal Kerala, la regione resa famosa dalla vicenda dei "nostri" marò: uno scambio più che equo per risolvere la questione diplomatica: tenetevi i marò, ma a noi lasciateci Sylvy! Peccato che lui, giustamente, ci voglia tornare nella sua India.

La Pop lo adorava e lui la chiamava "Alicia". Si donavano dei fiori colti dal giardino.
Io le raccontavo che veniva da un paese magico e lontano, raccontato nelle "Mille e una notte".
Lui ci giocava insieme e si metteva in fronte come terzo occhio uno sticker di Hello Kitty,
Un po' magico forse lo era davvero. Era discreto, sempre operoso in casa, lo vedevi muoversi in silenzio di qua e di là, una volta l'ho visto cogliere la frutta da un albero in una posizione da vero equilibrista.
Lui aveva un altro modo magico e straordinario di comunicare, attraverso le mani, accarezzava quelle dei piccoli e non stabilendo subito un contatto e dando pace e tranquillità.
Un po' ascetico ma allo stesso tempo moderno e attuale e poi tifava Roma.
Gli ho chiesto che lavoro faceva prima in India, mi aspettavo ingegnere nucleare e invece mi ha risposto "Gelataio": ecco perchè piaceva tanto alla Pop.

Ho visto tante badanti al parco trattare male e prendere in giro le vecchiette che hanno in custodia, ho visto babysitter fregarsene se i bimbi che devono controllare stanno ingurgitando chili di sabbia. Tanto da chiedermi: ma a chi stiamo affidando i nostri cari?
In lui ho visto la scelta di un mestiere non facile ma fatto con passione, cura e amore.

L'ho visto piangere quando l'abbiamo portato alla stazione dopo che era stato con noi solo 17 giorni.
L'ho visto fare le faccende coi jeans a vita bassa come un qualsiasi coetaneo del mondo ricordandomi che appunto è solo un ragazzo.
L'ho visto preoccupato, impaurito e pronto per un nuovo lavoro indicandosi il petto e dicendo "Mi porto dentro 4 angeli".

Fortunati quelli che ti incontreranno lungo il loro cammino.

martedì 25 giugno 2013

Carpe diem

Inizio forse a capire il senso di tutte quelle frasone ad effetto con cui ci riempivamo le pagine dei diari scolastici ai tempi del liceo.
"Vivi ogni attimo come se fosse l'ultimo....Carpe diem"
Già... se senti l'impulso di fare qualcosa, fallo e basta. Non ci pensare troppo su, anzi non ci pensare affatto, fallo e basta, anche e soprattutto se ti sembra un cosa folle, perchè in questi casi la ragione è la peggiore consigliera, ti blocca e basta. Così come la timidezza e la paura di essere considerati dagli altri ridicoli o chissà cosa penseranno di me. Tanto già magari pensano il peggio possibile, a questo punto meglio dargli conferma con le nostre azioni.

Bisognerebbe indire una giornata nazionale.
Invia quell'sms che per tante volte hai scritto e poi cancellato parola per parola e non hai mandato all'ultimo secondo, fai quella telefonata che per tante volte ti ha fatto prendere il cellulare in mano per poi riposarlo sul tavolo con un sospiro, riprendi quella penna per scrivere quella lettera che da tanto ti sconquassa le budella o riapri la tastiera e invia quell'email che hai conservato nelle bozze chissà da quanto, prendi il coraggio a due mani e dì a parole tue quello che ti frulla per la testa da tanto e che spinge per uscire fuori, che ti farebbe quasi urlare dalla voglia di dirlo.

Perchè? Perchè fa bene. A te perchè ti liberi, dici quello che senti e ti sentirai meglio e per chi riceve il tuo pensiero, quasi sempre positivo.
E per non incappare nella sindrome de "Le parole che non ti ho mai detto".
Quella triste sensazione che si prova quando il destinatario dei nostri pensieri non c'è più e ci mangiamo le mani per non aver avuto il tempo o il coraggio per dirgli tutto quello che avevamo in mente o per fare con lui tutto quello che da tanto ci prefissavamo.
E i motivi il più delle volte sono futili: mancanza di tempo, di iniziativa.

Avrei voluto caricare nonno G. su una macchina con tanto di bombola di ossigeno al seguito per portarlo a Trieste, sono anni che diceva: ci voglio andare, prima o poi ci voglio andare... ovviamente poi non si è fatto nulla ma sarebbe stato bello, molto da film.

Io qualcosina sono riuscita a scriverla quando ancora era tra noi, gliele ha lette la moglie ma non so quanto abbia capito, so solo che per paura, discrezione o non so che in quel momento sono uscita e non so manco se gli sono arrivate come le avevo scritte oppure no.


lunedì 17 giugno 2013

Il faro

Da cittadina metropolitana quale sono una delle cose che mi meraviglia di più di casa di mm è che dalla finestra, oltre che una magnifica vista sul mare, si potesse anche vedere il faro.

Lo guardo con la Pop quasi ogni sera che siamo qui, lo salutiamo prima di andare a dormire.

Questo faro fa un giro lento e tre veloci.

Fuuuuc-fuc-fuc-fuc
Nonno G., oltre alle navi di legno, costruiva anche fari.

Ne abbiamo uno a casa, a strisce rosse e bianche, con una lampadina che si accende davvero.

All'inizio ce ne aveva costruito uno enorme, l'ho pregato di farcelo un po' più piccolo perchè non avremmo saputo dove metterlo, senza battere ciglio nè replicare, la volta successiva che siamo tornati ce ne ha dato uno più piccolo.

Fuuuuc-fuc-fuc-fuc

Nonno G. era in grado di costruire o riparare qualsiasi cosa. È andato via troppo presto, aveva ancora tanti aeroplanini da realizzare per i suoi nipoti e tanti loro giochi da aggiustare.
L'estate scorsa si stava specializzando nella realizzazione di spaccanoci ma non un semplice aggeggino di quelli che si trovano in commercio. Bensì una tavola di legno con un supporto in metallo su cui porre la noce e un martello annesso per colpirla. Aveva trovate geniali, agli ingegneri Ikea sarebbe piaciuto molto. All'inizio ci ha dato uno spaccanoci abbastanza piccolino, rettangolare, la volta dopo, visti i nostri entusiasmi per il primo, ce ne ha fatto un altro enorme, rotondo. Io lo chiamavo la piazza d'armi e gli dissi "Ok come grandezza fermiamoci qui."

Fuuuuc-fuc-fuc-fuc

Io e Nonno G. la pensavamo in maniera diametralmente opposta su tanti argomenti: politica, storia, religione...però riuscivo a parlarci in maniera sorprendentemente tranquilla. È stato un grande insegnamento: il rispetto viene prima di tutto e forse sono giunta  finalmente a capire il significato della frase: gli estremi spesso finiscono per toccarsi.

Nonno G. era discreto e poco propenso ad effusioni amorose ma il giorno dopo il nostro matrimonio, finiti i bagordi e i festeggiamenti quando ci siamo trovati per un attimo da soli mi ha abbracciato e commosso mi ha detto "Finalmente la mia nuorina!" e io sono rimasta di stucco. Non aveva mai spinto per farci sposare ma con quella frase ci ha fatto capire quanto quel passo fosse importante e sperato da lui.

Di Nonno G. ricordo la grande ironia, le barzellette, sempre le stesse da anni, al limite dello sconcio che la moglie si limitava spesso ad ascoltare sorridendo e scuotendo la testa.
Quell'ironia mi è venuta a trovare anche durante il funerale mentre le suore hanno accompagnato la messa cantando e mi sono ricordata di quante volte le ha prese in giro dicendo che erano stonate.
Mi veniva quasi da dire "Dai nonno G. ammettilo che è uno scherzo!".

In casa ogni oggetto, ogni angolo parla di lui e reca impressa la sua impronta.
Mi aspetto quasi da un momento all'altro di sentire la sua voce o di vederlo passeggiare in giardino o ci sorprendiamo a pensare: lui cosa avrebbe detto o cosa avrebbe fatto?

La Pop da quando era molto malato lo evitava, quasi avesse già capito. L'ha nominato dopo tanto tempo proprio nel momento in cui se ne è andato. All'improvviso ha guardato il faro di legno e detto:"Nonno!".

Fuuuuc-fuc-fuc-fuc

Non credo nel dopo, nè che ci rivedremo ma aspetto il crepuscolo per uscire in balcone con la Pop per andare a salutare il faro e farmi due chiacchiere con lui.

Fuuuuc-fuc-fuc-fuc






mercoledì 5 giugno 2013

Spero di sbagliarmi

Spero di sbagliarmi.

Ci sono giorni in cui pensi che forse sei tu quella sbagliata e non gli altri. Punti di vista.

Spero di sbagliarmi.

In cui ti viene il dubbio che stai parlando una lingua tutta tua in un paese straniero.  Anzi ti sembra di provenire proprio da un altro pianeta. Straniamento.

Spero di sbagliarmi.

Ti senti come quando un tempo alla posta c'era il vetro a separare l'impiegato dal cliente e non si riusciva mai a comunicare per quanto uno si sforzasse di parlare dal buco. Ora quel vetro non c'è più ma forse la situazione è rimasta la stessa. Incomunicabilità.

Spero di sbagliarmi.

Capisci che ti stai addentrando in territori ostili, non tuoi, che stai uscendo da quel ruolo che gli altri ti hanno dato e iniziano a guardarti storto perchè alzi la cresta o scalpiti. Stai travalicando i confini, gli ambiti e forse ancora peggio, stai entrando nelle altrui sfere personali. Fattiifattituoichecampi100anni.

Spero di sbagliarmi.

Chiedersi: ma che faccio di male se dico quello che sento dentro? Libertàdipensiero.

Avere la triste sensazione che qualcosa di più, di diverso poteva essere fatto per far andare le cose diversamente, Iononmiarrendo.

Ma tuttavia non poter fare nulla di concreto per cambiare le cose. Impotenza.

Se non accarezzare quelle stanche mani e sussurrare: perchè noi qui abbiamo ancora bisogno di te.