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martedì 20 luglio 2021

Lei&Lui

 "Ci sono metastasi, ovunque...".

Questa è la risposta, proprio così: ci sono metastasi-virgola-piccola pausa-ovunque. 

Le infinite domande, i piccoli e grandi dubbi che aveva in testa da giorni si erano azzerati in un solo momento di fronte a questa diagnosi. Gli occhi del chirurgo si tuffano di nuovo in basso a scrutare le carte, le analisi, le lastre. Farfuglia un "Mi dispiace, non c'è molto da fare", già... non c'è molto da aggiungere. Lei ha bisogno di uscire, di respirare; si alza da quella sedia scomoda e stringe la mano del professore. Forse si aspettava un segno di conforto, una stretta prolungata quasi a trattenerla e invece incontra delle dita che la sfiorano con sospetto temendo di rovinarsi a contatto con le sue. Cerca invano di incrociare i suoi occhi ma vede solo lo sguardo stanco del dottore, spossato dopo ore di sala operatoria. Un ultimo pensiero: potrebbe essere mio padre o forse mio nonno, possibile che non provi un po' di affetto, compassione o qualsiasi cosa di simile per lei? Si dà da sola la risposta ed esce in punta di piedi chiudendosi la porta alle spalle senza far rumore.

Fuori è tutto uguale, tutto come prima. Il sole brucia implacabile, i piccioni banchettano indisturbati sotto i tavolini del bar con i resti dei cornetti dei clienti della mattina. Il cielo è azzurro, terso, dà quasi fastidio. Il clima dovrebbe essere sempre associato al proprio stato d'animo ed ora ci dovrebbe essere un cielo grigio e una pioggia fitta, incessante. Come quando vai ad un funerale o muore qualcuno, anche in questo caso ci vorrebbe una pioggia lenta come se pure la città piangesse chi non c'è più. Con questi pensieri vaga per la città cercando in realtà di tornare a casa il più in fretta possibile, di chiudersi nel suo rifugio, di stare sola a leccarsi le ferite. Sale le scale a due a due in fretta, apre la porta e viene accolta da un: "Roberto sei tu? Dove sei stato? Ci hai messo tanto a tornare!". "Mamma ma quale Roberto? Sono io..." accarezzandole la guancia. "Mamma tutto bene? Sono rientrata ora". Ma non sembra proprio riconoscerla, con la mente intrappolata in chissà quali ricordi. Gli occhi spenti che quasi la attraversano e si fissano su qualcosa di indefinibile alle sue spalle. "Mamma vieni qui, siediti vicino a me". L'anziana signora, presa per mano, le obbedisce docile . "Sai mamma, oggi avevo quella visita importante in ospedale..." "Cosa Roberto? Non ti senti bene?" "Mamma non sono Roberto, lo zio Roberto è morto più di 20 anni fa..." "Ma certo, che mi stavi dicendo della visita?" "Nulla di che, tutto a posto, andiamoci a vedere un po' di TV insieme". 

Come può spiegarle cosa le ha detto il medico se non riesce quasi a riconoscere chi ha di fronte? Come può cercare conforto in sua madre se lei per prima è immersa senza via di uscita nei propri problemi? In fin dei conti cosa dovrebbe dirle? Sai mamma, tua figlia non sta affatto bene, ha un tumore in fase galoppante e a breve potrebbe lasciarti sola... Già... ora le viene in mente che non ha posto al medico la fatidica domanda da film: "Dottore quanto tempo mi resta?" E la prevedibile risposta, altrettanto da film: "Difficile fare delle previsioni, non vorrei dare false speranze...".

Si butta sul letto, il viso rivolto verso il muro, rannicchiata da un lato, si sfila le scarpe, prima una, poi l'altra. In fin dei conti siamo tutti mortali, fino a prova contraria; siamo tutti di passaggio su questa terra. Pensa, pensa: tutti dobbiamo morire prima o poi, la differenza tra me e gli altri è sapere che il mio turno sarà un po' prima dei miei coetanei la cui aspettativa di vita è di 70-80-90 anni. A  qualche sfigato potrebbe andare peggio, ad esempio potrebbe uscire un mattino di casa ed essere investito da un autobus e game over, senza ricevere neanche un congruo preavviso. Forse si potrebbe cercare di vedere il lato positivo della faccenda considerando di avere un alert sempre acceso che fa il conto alla rovescia, che scandisca il tempo e metta fretta. Le massime dei nonni: mai rimandare a domani quello che potresti fare oggi e chi ha tempo non aspetti tempo, risultano ora concretamente attuali e veritiere.

Per cui ha deciso: affronterò un giorno dopo l'altro, con le sue difficoltà e ostacoli; farò finta che l'incontro col medico non ci sia mai stato, mi comporterò come ho fatto finora. Anche perché...io mi sento bene, come sempre, magari il dottore si è sbagliato. Ha confuso le cartelle cliniche, quante se ne sentono in giro...?! Ok, deciso più o meno il da farsi, ora ha solo un impellente bisogno: lui.

Lo chiama e come al solito senza inutili convenevoli, senza ciao, senza come stai, gli chiede o meglio quasi gli comunica: "Posso passare?". Esce come una furia, prende il casco al volo: "Ciao mamma, forse non rientro stasera". "Va bene Roberto, tutto bene in banca?". Percorre i pochi chilometri della tangenziale a velocità sostenuta, facendo il conto alla rovescia di quanti secondi mancano all'arrivo. Parcheggia di fronte al portone, citofona:  "Eccomi", maledetto ascensore sempre troppo lento. È fuori sul pianerottolo, dai, dai sbrigati. Finalmente lui arriva alla porta, la socchiude, lei fa un passo verso dentro quasi di corsa, un salto più che altro, lo travolge, lo afferra, le mani dietro la nuca di lui, le dita tra i capelli, nel ciuffo, occhi negli occhi, vicinissimi. Cerca la bocca, lo bacia avidamente; è ossigeno finalmente. Quello che cercava, di cui aveva bisogno disperatamente. Affonda il naso nel collo di lui, ha fame, sete, fretta. Aspira il suo odore: finalmente casa, l'unico posto in cui voler stare. Non smette di baciarlo, di trattenere le sue labbra mordendole e nello stesso momento lo spinge dentro la stanza, lei con la giacca ancora addosso mentre con le dita è sotto la maglia di lui. Sente la pelle d'oca, il respiro farsi più intenso e veloce, i muscoli tendersi. Lui è un po' stupito, la guarda e lei per tutta risposta gli si stringe ancora di più addosso e lo zittisce baciandolo con maggiore intensità. Finiscono sul vecchio divano, il casco rimasto per terra all'ingresso e la porta ancora aperta perché a nessuno era venuto in mente di chiuderla. 




A notte fonda torna a casa: "Ciao cara, sono in cucina", è stupita perché questi momenti di normalità ogni tanto ci sono, anche se purtroppo sono sempre più rari. È molto tardi quando finalmente va a letto. Sente ancora il profumo di lui addosso, il suo sapore, quasi il calore della sua pelle sotto le dita e sorride. Si erano conosciuti poco tempo prima in un gruppo di amici e da subito aveva notato che non riusciva a sostenere il suo sguardo, quando per caso, in mezzo alla gente, i loro occhi si fissavano, era una vera e propria gara a chi era in grado di resistere di più. O quando per sbaglio le loro dita si sfioravano mentre si porgevano un oggetto, lei sentiva come delle vibrazioni, delle scariche elettriche. Una sera l'aveva presa da parte e le aveva proposto di andare a fare un giro in moto insieme:  "Ma dove andiamo?" Aveva chiesto lei preoccupata. "Al mare" aveva risposto lui come fosse la cosa più normale e scontata del mondo.

E pensare: ma questo è pazzo e subito dopo: lo adoro, è stato un tutt'uno talmente veloce da non rendersene conto.

All'inizio aveva provato a resistergli ma sentiva che poteva poco o nulla di fronte a quella forza travolgente. Quando le si avvicinava, lei con la mente quasi lo implorava: ti prego stammi lontano, non oltrepassare il limite dei due metri intorno a me, superato il quale il tuo profumo mi avvolge e non sono in grado di opporre resistenza. Come nei film: stammi lontano e nessuno si farà male. Ma il fine olfatto è proprio una prerogativa di lei, forse da forte miope ha sviluppato molto un altro dei cinque sensi. Spesso non ricorda i visi delle persone ma i profumi riuscirebbe a riconoscerli fra migliaia.

E poi la sua voce: conturbante, profonda, in grado di entrarle dentro, raggiungere angoli remoti, titillare le corde dell'anima, stanarla, disarmarla, spogliarla; in un attimo si ritrova seminuda senza sapere neanche come né perché. Per non parlare poi dell'effetto che le faceva a notte fonda o appena sveglio un suo semplice "Buongiorno" mormorato con la voce ancora impastata dal sonno. Allora gli diceva: se mai dovessi andare in coma, non state a perdere tempo col cercare di farmi ascoltare la mia canzone preferita; basta che vieni tu a sussurrarmi anche la lista della spesa da vicino e saresti in grado di riportare in vita i morti dall'aldilà.

Anche lui all'inizio aveva provato a fare a meno di lei, spariva, quasi si faceva violenza per non cercarla ma dopo poco tornava sempre da lei, con la coda tra le gambe, come un assetato che si è perso nel deserto e raggiunge finalmente la sua oasi. Lei si chiedeva che senso avesse farsi del male e privarsi della felicità così vicina, a portata di male. La verità è che avevano paura di farsi male, di cadere, da quell'incredibile altezza a cui arrivavano ogni volta che stavano insieme.

O quella volta che all'improvviso le ha detto: "Prepara una piccola valigia e il passaporto che ti ho preparato una sorpresa." E si è ritrovata poche ore dopo in una vasca idromassaggio su una terrazza di un attico di Manhattan, un viaggio premio che un suo amico non aveva potuto utilizzare. Lei non poteva credere ai propri occhi e osservando la città illuminata sotto i suoi piedi si chiedeva come poteva meritare tutto questo e cosa avesse fatto per averlo. Forse in un'altra vita doveva essere stata una caritevole missionaria o una indefessa volontaria. Il problema era che sarebbe stata da Dio con lui anche in un sordido bar di periferia. L'importante era avere gli occhi di lui fissi su di lei. Quegli occhi che adorava, che cambiavano colore a seconda della luce: verde, bruni e in pieno sole quasi oro. Che erano l'anticamera di mondi meravigliosi che potevi solo intuire o immaginare. Non si erano mai definiti coppia o fidanzati, non era importante. Lei sapeva che c'era una miriade di cagnette che gli gironzolavano intorno ma sapeva anche che certe emozioni lui l'avrebbe provate solo con lei, perciò era libero di scegliere. Non facevano mai progetti per il futuro, contava solo il presente, la voglia di stare insieme, che delle volte era tangibile, da fare male. Avevano imparato a rispettare gli spazi e i tempi dell'altro e che quando c'era un momento no non era semplicemente a causa di un'altra o di un altro ma era perché non era il momento buono e basta. Ma anche se non si vedevano lei lo sentiva, in qualche modo c'era sempre. Qualche mese prima lui fece un incidente in moto, lei lo andò a trovare in ospedale e tra la rabbia e la disperazione gli ringhiò: "Non provare a lasciarmi sola, giuro che se lo fai, ti riporto in vita solo per poi ucciderti con le mie mani". In quel momento capì quanto fosse indispensabile la sua presenza e quanto ci tenesse a lui e sentì per la prima volta il pavimento tremarle sotto i piedi. 

Qualche giorno dopo aver ricevuto la diagnosi del dottore deve tornare in ospedale per definire la terapia; un altro medico le parla di fase 1, fase 2, del fatto che purtroppo vista la sua giovane età il male si propaga velocemente, radioterapia, chemioterapia...ma lo sguardo di lei corre fuori dalla finestra, vede gli alberi del parco e non segue già più quello che le sta dicendo.

Sarà docile, farà tutto quello che le diranno di fare, sarà un'alunna modello, brava e compita. Ma non indosserà mai quelle orribili fasce colorate, non andrà mai in giro attaccandosi al bavero quei fiocchi colorati simboli della lotta al male e soprattutto non vorrà mai la pietà della gente, la commiserazione. Finora si era sempre considerata una forte, una tosta, una diversa dagli altri per cui il destino avrebbe riservato qualcosa di speciale. Sapeva che non sarebbe mai stata una di quelle da villetta con giardino e la spesa al supermercato il sabato mattino ma certo non si sarebbe mai aspettata tutto questo. Uscendo passa vicino a quel parco che vedeva prima dallo studio medico e vede dei bambini giocare. Pensa subito: certo lui sarebbe stato un padre stupendo e invece non lo sarà mai, almeno non con me. Scaccia il pensiero triste e la lacrima che era scivolata giù con il dorso della mano e si incammina verso casa. Lì la aspettano oltre che la mamma anche un infermiere che da qualche tempo fa assistenza all'anziana.  Questa volta però non c'è il solito giovane praticante ma un signore di mezza età. La mamma dopo un po' è stanca e si va a riposare mentre lei decide di fare due chiacchiere col nuovo arrivato. In poco tempo si apre come un fiume in piena dopo aver rotto la diga e gli racconta tutto. Delle volte risulta più facile confidarsi con gli estranei che con chi si e ci conosce da una vita. Lui ascolta, annuisce, senza ipocrisia e alla fine le dice: "Sei speciale, ce la farai in un modo o nell'altro". Poi va via perché il suo turno è finito. Suonano alla porta e a sorpresa è lui, lei non crede ai propri occhi di ritrovarselo lì con la sua camicia bianca, lo prende per il bavero e lo attira a sé. Ha urgente bisogno di cancellare quell'orribile odore di disinfettante che le è rimasto sotto le narici dall'ospedale.  

Lo abbraccia stretto, lo tasta quasi a sincerarsi che lui esista davvero ed è lì di fronte a lei. È con la testa sul suo petto e d'un tratto, presa da un'illuminazione gli dice: "Bisogna dire a quei professoroni di aggiungere ai loro protocolli di merda anche una postilla che includa la presenza delle tue mani, della tua voce e del tuo profumo per la salvezza della paziente". Lui scoppia a ridere con quella risata allegra e piena che è in grado di cambiarti la giornata, con quel sorriso che sembra spalancare le finestre e fa entrare la luce accecante di primavera.

Lei di getto, quasi senza troppo pensarci gli dice: "Io non voglio, assolutamente, che tu stia male per me. Voglio che ti allontani da me e che non mi costringa ad essere io a farlo per prima". Lui la fissa e le risponde: "Non se ne parla, io voglio esserti vicino, per sempre". Lei sbuffa, lo allontana e tuona:" Per sempre non esiste, è una cazzata, esiste solo il presente e basta. Non esiste per nessuno, figuriamoci per me, ora. Non voglio che mi sei vicino, non voglio la tua pietà". Lui le dice: "Vieni andiamo, ti voglio fare vedere un posto". Con la moto raggiungono un paesino in collina, non si parlano per tutto il viaggio. Sulla sommità c'è un casolare e lui le dice: "Era la casa dei miei nonni, vieni entriamo", dentro sembra tutto cristallizzato nel tempo ad almeno 50 anni fa. Poi le fa: "Ora chiudi gli occhi" e la prende per mano. La porta in una stanza: "Ora puoi aprirli" c'è una finestra con le imposte socchiuse, lui le spalanca e all'improvviso di fronte a lei c'è il tramonto più bello del mondo, da rimanere senza fiato..Lei resta in silenzio, estasiata di fronte a questo spettacolo: rosa, celeste, arancione... Lui sta un passo dietro di lei, quasi in disparte a non voler interrompere questo momento. E poi...Scansa i suoi capelli e le dà un bacio, uno, uno solo sul collo, anzi a metà strada tra il collo e la spalla, proprio dove ha un piccolo neo. Le stampa questo bacio che è dolce e deciso allo stesso tempo. Ma non è veloce, è tutto molto lento, lui si sofferma, non c'è fretta. Lei sente le sue labbra e il suo respiro sulla pelle. Ha i brividi, non esiste più altro, il mondo intorno sparisce. 

A questo punto non può fare altro che girarsi e incrociare il suo sguardo e vedere il tramonto dalle mille sfumature che si riflette nei suoi occhi. Si perde guardandolo, non capisce più nulla, vuole perdersi e sa solo che farebbe qualsiasi cosa per quei magnifici...meravigliosi...fottuti occhi verdi... Poi lui le prende la mano e le dice: "Eccoti una copia delle mie chiavi di casa, così puoi venire quando vuoi, a qualsiasi ora, senza neanche chiamarmi prima, tanto in ogni caso fai sempre come ti pare..." Le accarezza il mento dolcemente, lei si appoggia al davanzale della finestra, lui le tira su la gonna mentre dietro di lei si accendono le prime stelle della sera.

Il giorno dopo viene il suo amico storico a trovarla a casa, lei è contenta, non si fa problemi a dirgli: "Scusa ho bisogno di fare un bagno rilassante, sono distrutta." E lui a replicare: "Ok non ti preoccupare, se vuoi ti faccio compagnia così continuiamo a parlare." "Va bene ma almeno girati, non mi guardare mentre entro nella vasca" "Certo". 

Lei si immerge nell'acqua bollente e piena di schiuma, la testa poggiata dietro, gli occhi chiusi. Lui la guarda e mormora: "Cristo come sei bella", lei si rannicchia abbracciandosi le ginocchia. Vorrebbe andare in giro con un cartello con scritto: non vi legate a me, non amatemi, non affezionatevi, non posso ricambiare i vostri sentimenti ora, posso solo creare sofferenze e delusioni. Lasciatemi stare, lasciatemi sola, è meglio per tutti.

La domenica pomeriggio arriva la telefonata della sua migliore amica Chicca che è un susseguirsi ininterrotto di parole, risate e confidenze. Lei riesce solo ad annuire e a dare qualche rapido consiglio. Dopo un'ora quando sta per finire la telefonata riesce ad inserirsi nel monologo dicendo: "No ma Chicca tranquilla io sto bene grazie", l'amica risponde:" Come scusa?" "Ma niente parli solo tu e non mi chiedi neanche come sto" "Hai ragione scusa, è che tu te la cavi sempre, sono io che invece sono una frana. Usciamo stasera? Dai ti offro da bere per farmi perdonare". La serata scorre via veloce, spensierata, leggera. Le gira un po' la testa perché al primo drink ne è seguito un altro, poi un altro e poi neanche si ricorda più. Le si avvicinano vari ragazzi in cerca di compagnia, è incredibile come più una voglia stare in santa pace a fare due chiacchiere con un'amica e più venga infastidita dagli altri. 

Chicca deve rientrare ma lei non ne ha molta voglia, fruga nelle tasche della giacca e afferra le chiavi di casa di lui. Non sa neanche che ore sono, è tutto buio, entra in camera da letto e lui è lì che dorme. Lei si stende vicino a lui in quel letto a una piazza e mezza che è sempre troppo piccolo o troppo grande a seconda delle circostanze. Lui apre gli occhi e le dice: "Ce l'hai fatta a venire, finalmente, ti aspettavo", lei gioca con i suoi capelli arricciandoli, annusa ad occhi chiusi la sua t-shirt, un misto di deodorante, dopobarba e il suo odore. Lei sfiora con i polpastrelli il suo braccio, forse lui si è già riaddormentato. Percorre delle linee immaginarie e le segue con dei piccoli baci e assaporandole con la lingua. Poi passa al petto e poi scende sempre più giù.

Qualche ora dopo lei si sveglia, si appoggia sul petto di lui, si accorge che è sveglio e sfiorandogli le labbra con un dito gli dice: "Io non voglio che stai vicino a me. Io ti voglio dentro di me. Come in realtà già sei.  Non c'è bisogno che autorizzo la donazione dei miei organi perché sono già tuoi, il mio cuore, il mio cervello, il mio stomaco...sono già tuoi, ti appartengono e hanno impresso il tuo nome. In ogni mia cellula, anche in quelle bastarde malate, ci sei tu. Ci ho provato ad escluderti, a mandarti via ma non ci riesco. Ci vorrebbe un esorcista, ma uno di quelli bravi che provi a farti uscire da me. Ma vorrei che almeno tu non rinunciassi a vivere, io farò come sempre, morderò la vita, vivrò ogni momento fino in fondo senza pentimenti. Sta a te a questo punto fare una scelta" "Non c'è bisogno, l'ho già fatta".


martedì 13 luglio 2021

Fair play

Spesso le innocenti e spontanee delle Pop mi inducono a riflessioni più approfondite.

"Mamma ma perchè i giocatori si stanno togliendo la medaglia?"


Anni e anni ad insistere alla vigilia di ogni prova importante (sportiva e non) su De Coubertin "L'importante non è vincere ma partecipare", dare il massimo che si può, che delle volte si vince anche non salendo sul podio, che non è necessario arrivare primi a tutti i costi anche se questa società ce lo impone e ce lo chiede sempre più e spesso già dalla tenerissima età, di essere felici e soddisfatti anche della medaglia di plastica come semplice attestato di partecipazione...buttati nel cesso in 3 secondi con quelle brutte immagini.

La mia risposta, dopo una iniziale incertezza è stata molto pragmatica e tecnica:"Perchè stanno a rosicà...".

Da lì è partito tutto un accanimento sul gesto, una condanna decisa a quello e ad altri simili: abbandonare lo stadio in anticipo, non assistere alla cerimonia di premiazione... condito con sarcasmo rispetto al famoso selfcontrol inglese, al loro essere lord ecc. Chiudendo con la sentenza che noi al loro posto sicuramente non avremmo fatto così.

Ma ne siamo davvero sicuri? Io no.

Ci sono varie cose che non mi tornano e che mi infastidiscono.

Innanzitutto credo che sia troppo facile da vincitori, da primi d'Europa accanirsi e sottolineare le mancanze e le presunte azioni sbagliate degli altri. Secondo me sarebbe più elegante osservare ma poi tacere, senza giudicare o additare al pubblico ludibrio.

In fin dei conti quello che si chiede ad un calciatore è di giocare bene a calcio e basta. Non si può pretendere più di tanto. Può capitare che sbagli un rigore ma anche di fare gesti poco consoni, soprattutto sotto stress e in situazioni emotive particolari.

Certo deve sempre ricordarsi di stare sotto gli occhi e i riflettori di milioni di persone, che le sue prodezze sportive ma anche ogni suo gesto sarà visto da adulti ma anche da bambini, per cui rappresentano davvero degli idoli, un esempio da seguire, ma anche da persone diverse e lontane da lui. E non deve dimenticarselo mai. Che se è arrivato fino a quel punto lo deve a loro ed è per loro. Per questo dovrebbe cercare di ricordarselo sempre e di comportarsi di conseguenza, la sportività dovrebbe essere totale, sul campo ma anche al di fuori, durante la partita ma anche in altri momenti. Non dovrebbe sfottere l'avversario, fare gesti violenti, dovrebbe prestare attenzione quando rilascia dichiarazioni pubbliche, dovrebbe avere rispetto dell'altro...insomma tutte quelle cose, forse dimenticate o accantonate che rappresentano lo SPORT. Perchè giocare a calcio non è semplicemente prendere a calci un pallone.

La nazionale inglese ha pubblicato un comunicato che dice più o meno questo, non ho capito se è un modo di replicare alle critiche oppure no.



Inoltre dovrebbero comunque considerarsi fortunati e privilegiati per il ruolo e lo spazio che stanno occupando; a certi livelli credo sia già un successo enorme e un privilegio anche solo far parte della nazionale di calcio, indipendentemente dalle vittorie raggiunte. E forse ogni tanto tutto questo viene dimenticato, insomma ci vorrebbe un po' più di umiltà e di riconoscenza.

Un altro errore in cui è facile cadere è attribuire le colpe di pochi all'intera nazione e popolo mettendo in mezzo la loro storia, il loro governo, la loro indole. È una cosa molto pericolosa e che può far sfociare facilmente in giudizi davvero pesanti e senza senso.

Razzismo, intolleranza, pregiudizio...si tratta, secondo me, di formulare un giudizio prima ancora che l'altra persona apra bocca o compia un'azione ma basandosi esclusivamente sulla sua categoria sociale, professione, etnia, religione, colore della pelle...

A proposito io ho trovato abbastanza penosa la gestione del "Black lives matter" da parte della squadra italiana: non ci inginocchiamo, metà è d'accordo, metà no, lo facciamo ma non perchè crediamo nel gesto ma lo facciamo per solidarietà con l'altra squadra. Il razzismo è una brutta faccenda a cui si deve reagire con un No deciso e basta.

Se andiamo a vedere nel passato ci sono state anche altre occasioni simili in cui i nostri si sono comportati come gli Inglesi in questa finale e hanno rifiutato la medaglia, per cui siamo davvero sicuri che non l'avrebbero fatto al posto loro?

Forse c'è bisogno di un ritorno alle origini, forse si trova più genuinità nel campo di calcetto sterrato dietro casa o forse manco lì visto che spesso nelle partitelle dei bambini succedono cose inenarrabili sugli spalti da parte dei genitori.

Ma vogliamo parlare di come il calcio spesso sia ostaggio delle curve e di personaggi poco raccomandabili che si comportano come vogliono incuranti di tutto? Ma questo ce lo ricordiamo?


Riguardo la finale mi è piaciuto molto il modo di festeggiare di De Rossi



e l'esultanza di Spinazzola che ha partecipato alla cerimonia con le stampelle 



meno la dichiarazione di Bonucci "Ne dovete mangiare ancora di pasta...!

La Pop qualche giorno prima era molto stupita del fatto che i calciatori percepissero stipendi milionari, anzi si chiedeva quanto avevano pagato il biglietto per andare a Londra. E mi chiedeva perplessa:"Ma come?! Fammi capire, guadagnano così tanto solo per giocare a calcio?"

Ehhh ma questo è tutto un altro discorso.