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giovedì 29 gennaio 2015

Il fottutissimo master

Poco prima di partire per Capo Verde sono venuta a conoscenza di un master, che da ora in avanti per simpatia chiameremo fottutissimo master. Ho rimandato il più possibile la decisione se farlo o no.

I punti a sfavore erano molti:
- il costo: superiore ad una settimana a Capo Verde per tutta la famiglia
- la mia sfiducia nei confronti dell'università. La laurea dal punto di vista professionale mi ha dato davvero poco e da quello che ne so dopo le varie riforme la situazione è pure peggiorata per cui non mi aspetto granchè.
- e nello stesso modo non credo che il fottutissimo master mi possa dare più di tanto conoscenze tecniche ma temo sia soltanto una certificazione di cose che già conosco per lavoro, insomma un altro pezzo di carta, anche se dicono che master fa figo!
- gli orari: sarebbe sempre di pomeriggio quindi vedrei le Pop direttamente a ora di cena dalla mattina; loro ce la farebbero, io mica tanto.

I punti a favore sono:
- per tenermi impegnata, per fare qualcosa, per stare sul mercato.
- tre fantomatiche borse di studio in base al merito che rimborserebbero il costo del fottutissimo master  


Sento più volte la segretaria del fottutissimo master che è molto gentile, affabile e competente, potrebbe venderti di tutto dal folletto alla vita eterna passando per un fottutissimo master.
Consulto le mie amiche, mi aspetto consigli di cuore e di pancia e mi illuminano anche  su questioni fondamentali come la suddivisione dei crediti, il riconoscimento a livello europeo; mi si parla di ranking, placement per me arabo, mi rendo conto di quanto io sia fuori dal mondo dell'università e del lavoro, ai quali non posso rispondere che con mecojoni!


Prendo tempo e intanto faccio una preiscrizione non vincolante inviando per fax la documentazione necessaria (costo 6 euri). Nemmeno il tempo di spedirla che mi rispondono via email gentile dottoressa bla bla.
Percepisco che sono a caccia di iscritti.
Mi sento circuita e a tratti lusingata. Dai tempi della laurea solo due volte mi hanno chiamato dottoressa e l'altra risale a subito dopo la discussione della tesi da parte del fotografo per estorcerti un foto ricordo a pagamento, prontamente acquistata.
Grazie alla pre-iscrizione ottengo altre due settimane di riflessione. Mm è per il no, io solo per contrappormi a lui sarei per il sì.
Un mio ex compagno di università l'ha fatto 10 anni fa e gli è sembrato valido. Io sono scettica, non sono pratica di master ma noto un'organizzazione dei corsi un po' ballerina, ancora non si capisce bene quanti giorni a settimana siano, quali, gli orari.

Nel frattempo, come spesso succede si passa dal vuoto cosmico alla sovrapposizione di opportunità, si riaffaccia la possibilità di tornare in campo nel vecchio lavoro e si prospetta una nuova possibilità, forse niente di che, zero prospettive, minimi guadagni ma finalmente qualcosa che mi fa davvero vibrare, non un ripiego, non un "tanto per fare qualcosa" ma una cosa che mi piace sul serio e per la quale sono portata.
Una mission finalmente che ha poco a vedere con quelle delle imprese ma più vicina a quelle dei volontari in Mozambico.
Storie di affinità elettive, non dico di gente che vuole cambiare il mondo ma di chi, nel proprio piccolo, almeno ci vuole provare.

Ieri mi richiama la tizia del fottutissimo master. Mi dice:"pronto dottoressa La disturbo?". Arieccola! Capirai ero impegnata nella mia ennesima avvincente partita a Candy Crash...
A meno tre giorni dalla scadenza delle iscrizioni mi ha telefonato per sapere, con tatto e gentilezza, cosa avessi deciso di fare. Le dico che non lo so ancora, con ironia le rispondo che tanto in fin dei conti ho ben 3 giorni di tempo ancora per decidere. Lei ha tante doti ma non il senso dell'umorismo, mi dice che era così tanto per sapere, per preparare l'aula. Avverto ancora più distintamente la loro voglia bramosa di iscritti e nella mia mente si palesa la scritta "Non mi avrete MAI"!

Come dicono i fighi, anche se non hanno conseguito un fottutissimo master...

La casalinga di Voghera

Quelli appena passati e quelli in corso sono stati giorni all'insegna di novità, decisioni da prendere,bivi e sliding doors.
Il solo elemento certo è: io a stare a casa nè mi ci vedo, nè ci so stare.
A vedere la situazione dall'esterno sembrerebbe tutto bello e invidiabile ma in realtà standoci dentro non è affatto così.
Subentra la sensazione di sentirsi un po' inutile, di non avere un ruolo e un senso in questa società. La mazzata finale poi me l'ha data la Pop quando con aria inquisitoria mi fa:"Mamma ma tu dove lavori?". Nun je l'ho fatta e ho mentito inventando un fantomatico lavoro da casa, d'altra parte anche Mamma Pig fa qualcosa di simile.
Le giornate si dividono tra la mattina in cui si prepara di corsa la ciurma, si corre per non fare tardi a scuola, poi segue la stasi, la calma piatta.
Se mi dice bene posso godere di un cappuccino e quattro chiacchiere con qualche mamma  incontrata a scuola, altrimenti inizia la mia fase casalinga: si tratta di 5 ore libere.
Sono molte le cose che uno potrebbe fare ma una gran fetta vengono scartate perchè comportano un esborso di soldi quindi in decisa antitesi con il mio status. Ad esempio sarebbe bello andar in giro per saldi di mattina quando c'è pochissima gente, curiosare e scegliere con calma o darsi allo shopping su internet leggendo con cura le email dei gruppi d'acquisto o delle vendite on line. Più volte mi è capitato, presa dall'euforia, di riempire carrelli virtuali per poi svuotarli subito dopo in preda ai sensi di colpa.
Quando lavoravo pensando al periodo della maternità imminente e al tempo a disposizione pensavo di poterlo utilizzare per fare un corso di lingue o per dedicarmi ai mie hobby: finalmente del tempo per leggere in santa pace!
Invece dopo tutto questo tempo passato a casa mi rendo conto che non ho fatto nulla di tutto questo. Un hobby appaga se riesci a ritagliare spazio per te: un'ora prima di andare a dormire, in pausa pranzo, sui mezzi pubblici ma se è la maggior parte della giornata ad essere tempo libero allora perde senso.
Poi subentra anche la pigrizia che blocca ogni entusiasmo e rende pesante e faticoso anche uscire di casa, così le giornate trascorrono senza aver capito in che modo e senza aver fatto praticamente nulla.



Per rendersi utile si ripiega sulle faccende domestiche, si pulisce di gran lena tutta casa ma non è certo una cosa che si può fare tutti i giorni, non voglio mica fare davvero la casalinga disperata che si avventa sulla sparuta briciolina scampata alla furia dell'aspirapolvere!
Un altro modo per rendersi utile è dedicarsi alla cucina ma sapete bene quanto io sia imbranata e quanto non rientri nel mio dna, tant'è che gli amici si stupiscono delle mie creazioni dando per scontato inizialmente che sia opera di mm.

È strano e incredibile da dirsi ma mi sono dovuta imporre degli orari per far sì che le giornate non mi scivolassero via senza aver fatto nulla di concreto.
Solo chi c'è passato può capire come ci si sente, cosa si prova.
Capisco anche il malcelato disprezzo con cui gli altri chiedono "Ma tua cosa fai?..." per poi sottolineare "Ah stai a casa..." un mondo a parte guardato con sufficienza da lontano.

Un appuntamento piacevole che mi sono creata è andare a trovare le amiche in pausa pranzo e trascorrerla con loro così almeno mi ritaglio un'oretta di chiacchiere in tranquillità, anche se mi sento molto la dama di compagnia della pausa pranzo!
La stasi casalinga finisce alle 15.30 ora in cui vado a prendere la prima Pop e poi ricomincia il tourbillon accompagnandole nelle loro mille attività extrascolastiche.
Un'altra mazzata me l'ha dato il partecipare mentre eravamo in vacanza ad un fottutussimo gioco del caffè con l'animazione del villaggio e scoprire ad un quiz fra villeggianti di avere i riflessi moooolto rallentati, di toppare tutte le domande, di essere addirittura battuta da mm in velocità su "In quale romanzo compare Fra' Cristoforo" o alla domanda"Dove è nato Charlie Chaplin" rispondere con orgoglio "Polonia" confondendolo con Chopin....

A quel punto ho detto basta anzi "ABBASTA" è il caso di fare qualcosa,

A stare a casa il cervello mi sta andando in standby, mi sto rallentando, non ho niente contro le casalinghe ma ho constatato che se non c'è mai stata una casalinga che ha vinto un premio Nobel un motivo ci sarà.
Voglio orari, mezzi pubblici da prendere al volo, metropolitane stracolme, colleghi stronzi, puzza di ascelle, pause alla macchinetta del caffè, abbracci stritolanti alle Pop al mio ritorno.

Non sprofondate nella depressione, c'è anche la seconda parte del post un filino più entusiasmante!

lunedì 19 gennaio 2015

Cabo Verde parte 2

L'aereo inizia a scendere per l'atterraggio e da sopra vediamo un paesaggio desertico, molto desertico. Sorvoliamo il villaggio Francorosso, enorme, una vera e propria città e mentre viriamo dall'alto osserviamo il mare turchese e le spiagge bianche.
Atterriamo. Scesi a terra ci aspettiamo di essere investiti dal caldo invece ci dà il benvenuto il vento. Un elemento che ci accompagnerà per tutta la vacanza.
Ora è caldo e ci accarezza. Smorza l'alta temperatura dell'aria e ci coccola, fa quasi venire sonno. In altri momenti sarà impetuoso, delle volte ci rincoglionirà ma comunque sarà sempre presente e il sapientino del villaggio sottolineerà il fatto commentando:"E certo! Qui hanno origine gli Alisei".
In aeroporto la sensazione legata al vento è quella di un dolce ponentino che ti ammalia e rilassa. Il motto delle isole è No stress. Lo sapevo già da prima della partenza e ho deciso di farne il mio mantra.
L'aeroporto di Boa Vista è uno dei più simpatici mai visti, è tutto all'esterno con qualche tettoia per ripararsi dal sole. Ci sono le amache e le sdraio per riposarsi e forse prendere l'ultimo raggio di sole prima di ripartire. C'è un sistema di fontane e canali in maiolica purtroppo a secco. Dappertutto sono raffigurate le tartarughe, simbolo dell'isola.
Le pratiche burocratiche vengono svolte con no stress, le Pop giocano e si siedono per terra: ma sì, no stress. Da fuori l'aeroporto sembra un castello di sabbia.

 
Ci prelevano e ci portano al villaggio.
Nel pullmino sì che sentiamo caldo, con i nostri vestiti invernali, i finestrini chiusi e i sedili felpati. Attraversiamo il paesino di Sal Rei e l'impressione non è delle migliori, il ragazzo che ci accompagna ci indica la piazza principale, l'ospedale mai noi vediamo solo edifici un po' sgarrupati e parabole sui tetti. Arriviamo in pochi minuti al villaggio percorrendo strade che ci fanno sballonzolare sui sedili e ci dicono che quella è l'unica asfaltata dell'isola, per il resto ci sono piste nel deserto da percorrere con quad o pickup.
Arriviamo proprio il 31 dicembre, il primo giorno lo passiamo a perlustrare il villaggio, per fortuna molto piccolo e a dimensione umana. A mezzanotte proprio non riusciamo ad arrivare nè a quella locale, nè a quella italiana (2 ore prima). Ci addormentiamo stanchi del viaggio sentendo solo in lontananza echi di festeggiamenti.

Ed ora procederò, non a fare un resoconto minuzioso di ogni giorno di vacanza come fanno quelli precisi e bravi, ma mi dedicherò a sensazioni sparse alla rinfusa.

Ho amato i colori: il turchese del mare, il bianco della sabbia e il rosso delle rocce. I contrasti da far quasi male agli occhi. La terra arida, sembrava di stare su Marte, ammesso che io ci sia mai stata davvero.
Il mare impetuoso, le onde alte, grandi da far paura a noi abituati al Mediterraneo che in fondo in confronto all'Oceano è poco più che una pozzanghera.
Un mare ricco di vita, bastava entrare un momento nell'acqua per vedere pesci di tutti i tipi, coralli, conchiglie di colori e forme per noi inusuali.
Siamo riusciti a vedere pure le tartarughe anche se non era stagione ma puntuali alle 20.45 venivano sotto il pontile del villaggio attirati dalle luci e dai pesci che stavano lì intorno.
Posso assicurare che vedere una tartaruga in natura è una delle esperienze più soprannaturali al mondo. Ogni sera dopo cena invece di vedere Peppa Pig come facciamo in Italia, andavamo sul pontile a cercarle e puntualmente ne vedevamo un paio ed era un appuntamento meraviglioso!
Il villaggio era composto da costruzioni in pietra molto carine, erano disposte ad anfiteatro lungo il rilievo su cui era poggiato. Noi eravamo nella stanza più in alto di tutte, godevamo di una vista eccezionale ma allo stesso tempo per raggiungerla dal mare, dal ristorante, dalla reception insomma da qualsiasi punto, dovevamo farci una scarpinata in salita di un quarto d'ora e poi affrontare pure una scalinata. Perciò uscivamo la mattina e rientravamo solo prima di cena per cambiarci e riuscire subito dopo.
Un altro problema dell'essere in alto è che in alcuni orari c'era poca acqua per non dire che mancava del tutto. Ci siamo lamentati con la reception più volte e secondo la consueta filosofia no stress ci siamo sentiti rispondere che il problema era che todo el mundo si faceva la doccia alla stessa ora. Alla fine non hanno mai risolto la questione come promesso però, complice il tempo non ottimo, siamo riusciti lo stesso a lavarci bene o male. Un altro inconveniente è stata la mancanza del phon, ce ne avevano dato uno ma la presa non funzionava. Per i giorni successivi l'abbiamo chiesto prima ad un vicino di camera poi ad un altro. L'ultimo giorno finalmente dalla reception hanno provveduto e sono andati finalmente a comprarlo in paese! no stress

I capoverdiani sono gentili ma mai invadenti. Ovvio che il turista rappresenta una grande risorsa economica ma loro non sono mia inopportuni, non assillano per proporre dei commerci. Anzi ne ho visti tanti passare ore e ore, anzi giornate seduti o sdraiati. Quando passavamo lì ci salutavano, ci chiedevano di dove eravamo, volevano scambiare quattro chiacchiere, quando stavamo andando via, con noncuranza ci chiedevano se volevamo dare un'occhiata a quello che offrivano. Senza ripeterlo o essere insistenti.
Ho ammirato questo modo di fare, questa attesa contemplativa, riflessiva, far parte dell'ambiente essere un tutt'uno con esso. Su questa postazione c'era un tizio ogni tanto, forse solo quando ne aveva voglia che lavorava dei panetti di gesso per farne delle statuine a forma di tartaruga. Io l'ho eletta mia postazione di lavoro preferita!

Desideravo che le Pop si relazionassero con la gente del posto, il villaggio era per metà formato da personale italiano per metà da locali, così sono diventate amiche di tutti gli animatori, camerieri ecc. Alice soprattutto in questa vacanza si è lanciata diventando molto indipendente. Ha voluto dal secondo giorno mangiare per conto proprio con altri bambini e una volta si è messa a suonare le percussioni con un gruppo di senegalesi in una serata di musica e balli tribali.
Un giorno siamo andati a fare un'escursione in paese. Ho visto finalmente mamme portare i bambini sulla schiena come ho fatto io con le Pop. Siamo stati in un parco giochi dovrei avrei voluto che interagissero con i bimbi del luogo. Ce n'erano tanti a giocare scalzi. Dopo averne visti un paio fare pipì in un contenitore e poi giocarci con la terra, i miei entusiasmi iniziali si sono un po' spenti. Alla fine sono entrati in contatto quando è arrivata ad Alice una pallonata in testa ma le hanno chiesto scusa in italiano e inglese e poi spostandosi per far sì che non si ripetesse l'inconveniente.

Mi divertivo a cogliere dettagli di decorazioni natalizie così anacronistici con 30 e passa gradi di temperatura quasi come per dire: non è nella nostra cultura ma comunque ci proviamo!

 
 



Abbiamo conosciuto quasi tutto il villaggio, composto per la maggior parte da Italiani, dietro ognuno ho immaginato una storia, una vita. Ho osservato in silenzio la principessa triste e ho detestato la romana caciarona in cerca della cucina fusion e del posto fighissimo carinissimo chicchissimo immaginando di darle una randellata in testa ad ogni abuso di superlativo.

L'immagine che porterò sempre nel cuore sono le Pop che corrono sul pontile, vento in faccia, braccia aperte e cantare a squarciagola "Let it goooooooooo"

martedì 13 gennaio 2015

Cabo Verde - parte 1: il viaggio

Dopo i bagordi natalizi torniamo in città per preparare i bagagli per la partenza.
Ingenuamente penso:"Evviva finalmente potremo viaggiare leggeri, che ci vuole a fare una valigia con abbigliamento adatto ad un clima caldo? Un pareo, due costumi appallottolati e via! Niente giacche, niente felpe! Chissà quante cose in più potrò portare!".
Con sommo entusiasmo inizio a preparare i bagagli mettendo in valigia di tutto tranne il gatto. Ebbra dalla euforica sensazione di non dover volare con una compagnia low cost e quindi senza limiti di peso e dimensioni dei bagagli se non i canonici 20 kg, ma avoja a raggiungere quel peso solo con costumi e parei!
Dopo un po' mi assalgono i primi dubbi: e se fa freddo e se tira vento e se domani... agli iniziali indumenti estivi si aggiungono impermeabili, trench, kway acquistati e tirati fuori solo per queste occasioni.
Poi le altre considerazioni sono: e se il fondo del mare è sassoso? Allora servono le scarpine da sassi (comprate anni fa e mai usate). E poi che non vuoi portare qualche giochino ed attrezzo da spiaggia per far giocare le Pop? Non tanto le pinne, il fucile, gli occhiali ma piuttosto i braccioli, la ciambella che già immagino in vendita al blindato negozietto del villaggio a prezzi da Damiani.
Presto mi assale un dubbio ancora più serio, controllo sul foglio di viaggio quanto è il limite di peso...per i voli charter o almeno per il nostro è 15 kg con sovrapprezzo di 10 euri a kg e giurano di essere rigorosissimi nei controlli. Addirittura si vocifera che ogni valigia deve al massimo pesare 15 kg e non si può fare la media tipo un passeggero con valigia da 20 kg e uno con una da 10. Inoltre pare non si possano fare quelle figure barbine che sempre più spesso si vedono di passeggeri intenti ad aprire trolley e cercare di sistemare vestiti e accessori improbabili in modo da rispettare il limite di peso. Questo divieto non lo capisco,  forse si riferisce ad una questione di pubblica decenza. Si legge su internet che gli addetti siano ferocissimi e quindi non si scappa.
Rismonto tutti i bagagli e le ore successive sono dedicate a disfare le valigie e rifarle pesandole poi ogni volta. Tutte le preoccupazioni sulle variabili meteo-marine svaniscono nella constatazione: io mi porto questo, speriamo vada bene.
Inoltre questi già scarsi 15 kg vanno moltiplicati solo per 3 ovvero per noi e la Pop in quanto occupanti di posto a sedere in aereo. Per Marta poichè non ha ancora compiuto 2 anni e viene definita con malcelato disprezzo infant non spetta nulla, nè posto a sedere, nè pranzo, nè quindi bagaglio. Alla stregua di un neonatino e senza considerare che pesa 15 kg e non ha le dimensioni e le necessità di un bebè. Come se lei andasse in vacanza nuda o al massimo con una foglia di palma! Insomma abbiamo diritto allo stesso monte kg di tre persone quando invece siamo 4 e la roba di Marta occupa spazio e pure tanto: pannolini, vestiti, scarpe ecc.
Sono contrariata mi sembra di subire un torto enorme e farei intervenire i caschi blu, l'Unicef e tutti gli altri ma non ci possiamo fare nulla se non adeguarci e limitarci nelle cose da portare!

Dopo ore di tentativi fai e disfa la soluzione è: nelle valigie piccole mettere cose pesantissime tipo le scarpe e nelle grosse (che già vuote pesano un paio di chili) mettere cose leggere. All'uopo compriamo anche una valigia media dai cinesi, subito definita per la sua precaria e dubbia qualità:"Quella che durerà solo un viaggio e poi si scasserà" e invece ci stupirà. Inoltre a questo punto puntiamo sui bagagli a mano riempiendone subdolamente anche uno per la Pop che viene fornita di trolley delle Winx colmo da scoppiare, non ce la faccio neanche io a trascinarlo ma loro se lo dividono e litigano per portarlo tutto il tempo che siamo in aeroporto.

Partenza il 31 all'alba, lasciamo una Roma gelida, fredda ancora assonnata, usciamo che è ancora buio con le Pop addormentate.
Per questo viaggio ci eravamo rivolti per la prima volta ad una agenzia di viaggio e quindi abbiamo cose a cui non eravamo abituati tipo l'assistenza in aeroporto. L'appuntamento è fissato per le 5.50 ma quello dell'agenzia mi fa lo sconto:"Dai potete arrivare pure alle 6...".
Abbiamo portato pure il passeggino, il più delle volte ci va la Pop grande, ligi alla regola: purchè non rimanga vuoto e ci vada qualcuno ma abbiamo scoperto che è di grande aiuto come carrello per metterci zaini e borse e poi con il passeggino salti un sacco di file e hai precedenza, quindi lo useremo fino a 18 anni costringendo una delle due a sedercisi sopra!
Grazie ad esso una signora tutta botox si preoccupa per noi e ci fa passare avanti al checkin e saltiamo pure la fila al controllo sicurezza chiedendo all'addetto:"Ma non esiste una corsia preferenziale per passeggini?" e lei:"No ma passate di qua".
Le attese a Fiumicino per partire o al ritorno per l'attesa bagagli sono sempre riservate a constatare quanto faccia schifo questo aeroporto paragonato agli altri stranieri. In effetti  ad esempio hanno fatto dei nuovi bagni ma accessibili solo tramite scale.
Ci siamo. Saliamo sull'aereo, sarà pure un Boeing qualcosa ma è davvero stretto, mm ci sta a stento nella poltrona, io con Marta sulle ginocchia non ne parliamo, l'unica che sta bene è Alice con posto finestrino. Il personale dell'aereo è costituito da vari stewards e una sola hostess. Tutti di un'antipatia e cafonaggine unica, scazzati e demotivati. Appena saliamo noto che non c'è posto per i nostri zaini, giacche, gli effetti personali come li chiamano loro. Siamo in seconda fila e sopra di noi ci sono nelle cappelliere tutti i dispositivi di sicurezza quindi non possiamo metterli lì. Nasce un'antipatia reciproca tra me e uno di questi. Mi fa:"Signora lì non può ci sono le bombole" "Ah sì..? Non le avevo viste?" "Come?!". Poi si avvicina mi chiede se Marta è infant vorrei rispondere:"No lei ha diritto alla sua poltrona, me la tengo in braccio per hobby!". allora mi consegna la cintura da legare alla mia e intorno a lei. Marta la odierà da subito infatti al massimo riuscirò a legargliela intorno alla vita ma tanto eravamo talmente strette da rendere superflua un altro aggancio.
Davanti a noi c'è una fila di sedili un po' più larga occupata da gente che sembra vip, scopriremo in seguito che l'hanno ottenuta pagano una cinquantina di euro in più ma che i minori di 12 anni non ci possono stare. È la prima volta che stiamo in dei posti così avanti in aereo, possiamo osservare quello che succede, quello che fa il pilota e gli stewards in quello spazietto così angusto, peccato che chiudano sempre la tendina per non farci vedere. Pensavamo di essere privilegiati e di ricevere il pranzo per primi invece succede solo una volta, le altre partono dal centro.
I voli charter sono una via di mezzo fra un low cost e un 38 barrato all'ora di punta.
Ben presto si crea una fila lunghissima di gente in coda per andare in bagno, noi eravamo proprio lì vicino e quindi abbiamo iniziato a fare diverse congetture su cosa facesse ognuno in bagno e perchè ci mettesse così tanto tempo. Eliminate teorie hard poichè eravamo sicuri che una sola persona per volta occupasse il bagno, io sono giunta alla conclusione che la gente perde tempo perchè... si scaccola, colpa forse della secchezza dell'aria dell'aereo e del cattivo ricircolo. O semplicemente notando che altri indugiavano nella toilette non vogliono essere da meno e ci mettono tanto ad uscire. O forse dopo aver tanto atteso se la prendono comoda pensando a quelli che stanno fuori in attesa.
A forza di vedere quella fila era venuta voglia pure a me di fare pipì, aspetto un po' poi proprio quando inizio a non poterne più... il comandante avverte che c'è una turbolenza, di tornare a posto e stare con la cintura allacciata. Passano i minuti, mi slaccio la cintura della poltrona e dei pantaloni perchè la pancia mi sta scoppiando. Da dietro la tendina vedo che comunque il personale sta in piedi, l'aereo da parecchio tempo non balla più ma è stabile e addirittura un signore di soppiatto riesce ad andare in bagno. Provo ad alzarmi ma vengo subito ripresa e fatta sedere. Passano altri minuti, osservo il panama di un passeggero accanto a me e sogno di liberarmi lì dentro.

Poco dopo una signora anziana si alza e va in bagno, lo steward tenta di fermarla ma poi si arrende e glielo concede a patto che si assuma lei la responsabilità. Mi alzo anche io disposta a firmare e assumermi la responsabilità di qualsiasi cosa, sposto la tendina e becco gli stewards a parlare amenamente e mangiare risotto ai porcini.
Il nostro pranzo non è affatto male, la compagnia si fregia di servire un primo di pasta emiliana e di far usare bicchieri di vetro e posate di acciaio. Immaginate il mio pranzo con Marta sulle ginocchia e il tavolino aperto... Le Pop si addormentano e io riesco addirittura a vedermi un film.
Nel trolley delle Winx avevamo messo pure un assortimento di libri da colorare, stickers, colori ma alla fine non sono serviti granchè e devo dire che 6 ore sono trascorse abbastanza velocemente. Gli altri passeggeri ci hanno fatto i complimenti per come sono state brave ecc.

La seconda parte: http://buonecosedipessimogusto.blogspot.it/2015/01/cabo-verde-parte-2.html