pubbli larga

martedì 28 ottobre 2014

Come un pacco di pasta

Tutto è diverso visto da lontano, dal di fuori, finchè non ci capiti dentro.
È allora che tutto cambia.

Prima di essere incinta mi dicevo con fare tronfio:"Io non sono credente, chi se ne importa della morale e compagnia bella, voglio un figlio sano e perfetto, userò tutte le analisi e le metodologie della scienza moderna per avere la sicurezza che lo sia! Farò amniocentesi, bitest, tritest... farò di tutto, qualsiasi tipo di esame possibile e immaginabile".

Poi quando giunse il mio turno mi dava fastidio importunare la Pop inside addirittura con l'ecografo. Quasi non guardavo lo schermo, mi bastava solo che stesse bene e basta. I dottori insistevano per farmi sentire il battito cardiaco ma io declinavo:"Ma no lasciatela stare va bene così". Speravo che le visite durassero il minimo possibile e ci lasciassero presto in pace nella nostra intimità a crogiolarci nella comoda pancia. Quando venne il momento di scegliere se fare o no l'amniocentesi rimasi solo un po' sorpresa perchè la dottoressa mi lasciò assolutamente libera di decidere. Se consideravo un'invasione fra me e la Pop la sonda dell'ecografo, figuriamoci che idea avessi ora dell'ago dell'amniocentesi. E poi ammetto che ero già pazza di amore nei suoi confronti che l'avrei adorata senza riserve.
Le stesse decisioni e sensazioni si sono ripetute per Marta grazie anche al fatto che la dott. mi ha fatto vivere una seconda gravidanza ancor meno medicalizzata della prima. 

Tempo fa A. mi dice:"Sai una mia amica sta avendo una gravidanza difficile, ha fatto delle analisi e i risultati non sono affatto buoni, sembra che il bambino abbia dei problemi". Poco dopo la situazione si complica: potrebbe avere danni seri, pare che non stia crescendo come dovrebbe. Consulta vari dottoroni e l'esito è il seguente: consigliano una interruzione di gravidanza. La coppia di genitori si trova di fronte a questa terribile scelta. Entrambi molto credenti sono travolti da mille dubbi.
In cuor mio le prime parole che mi vengono in mente sono: andate avanti, non siamo nessuno per prendere una decisione del genere, si tratta pur sempre di stime, probabilità e se i dottoroni per una volta si fossero sbagliati? E se il bambino nascesse e vivesse anche solo un giorno, non pensate che ne valga la pena?
Mi rendo conto che IO non sono nessuno per giudicare le loro scelte, che solo loro che stanno vivendo questo incubo possono sapere come ci si sente, cosa si prova ecc.

Passano i giorni e addirittura sembra che sia possibile solo andare all'estero per fare una interruzione di gravidanza perchè qui non è più consentita per queste settimane di gestazione.

Trascorre altro tempo e il bambino viene fatto nascere. È sano e pesa 500 grammi. Commentiamo sgomente come un pacco di pasta.

Viene chiamato Giovanni Paolo perchè la mamma in visita alla tomba del papa sentì una sensazione particolare.
I genitori chiedono ai dottori quanto tempo dovrà rimanere in terapia intensiva e loro li zittiscono e quasi li deridono definendoli ottimisti visto che la sua sopravvivenza è precaria.
Il piccolo ha già compiuto una settimana. Pensiamo che è un traguardo enorme e importante per lui, per le sue condizioni, per uno scricciolino di 500 grammi, proviamo ad immaginarlo. Tratteniamo quasi il respiro.

Oggi se ne è andato.
Me lo immagino come un piccolo guerriero che ha combattuto con tutte le sue forze, spero che abbia conosciuto in questi giorni i baci e le coccole dei genitori, che sia riuscito a sentire le loro carezze attraverso l'incubatrice. Un piccolo lottatore che ha spiazzato i dottoroni, un pazzerello che ha bruciato statistiche e probabilità. Quello che non ci doveva manco essere, che era già condannato, in realtà pure se per poco, maledettamente poco, c'è stato! Chissà se ha sentito la voce dei genitori, se ha sentito il loro odore, le loro mani, per tutto questo mi dico che rispetto alle previsioni catastrofiche dei medici, sono stati fortunati perchè anche solo per pochi giorni sono stati insieme, si sono guardati negli occhi, si sono sentiti, hanno vissuto.

Queste righe sono per te affinchè rimanga traccia del tuo passaggio, della tua pur breve vita fra di noi.

http://buonecosedipessimogusto.blogspot.it/2012/05/quello-che-non-dovrebbe-mai-accadere.html

giovedì 23 ottobre 2014

Un moderno cowboy - parte 2 Il lato umano

Un tranquillo e piacevole weekend lungo in compagnia di amici conosciuti in vacanza è stata l'occasione per fare un salto indietro ma di parecchio.
Per tornare a quella tradizione della civiltà contadina buona, di un tempo che in realtà non abbiamo mai conosciuto ma forse di cui sentiamo il bisogno e che cerchiamo di ricreare.
Siamo stati invitati al pranzo della domenica. In realtà non è stato un invito, la domenica da sempre si pranza in famiglia, è così e basta, e se ci sono amici ospiti di qualcuno di famiglia è scontato che ci siano pure loro. Quindi ci si ritrova a casa dei nonni con la capostipite che prepara un pasto per almeno una quindicina di persone.
Ovviamente proibito portare dolci o altri generi alimentari in dono altrimenti si offenderebbe e lo stesso in realtà dicasi per altri regali.
All'inizio proviamo a svincolarci da questo impegno per non essere troppo invadenti, per non arrecare disturbo ma poi ci rendiamo conto che si fa così, ci dobbiamo essere e siamo subito inglobati e accolti nella loro famiglia.
Arriviamo nella casa di campagna dei nonni, la signora è in cucina a infornare, impastare, tutto a mano ovviamente. Viene apparecchiata una lunga tavola nel grande salone, non possiamo neanche aiutare, veniamo prontamente messi a riposo.
Ricordo una tavola semplice: una tovaglia a quadretti forse, bicchieri e posate semplici, senza fronzoli, pratici forse anche di vari assortimenti.
Capiamo subito che questo pranzo inizierà tardi, molto tardi, perchè il giorno dopo dicono che pioverà quindi è necessario fare tutti i lavori in campagna subito anche se è domenica. Abbiamo fame, si sentono dei profumi buonissimi venire dalla cucina, dal forno a legna, ma dobbiamo aspettare che arrivino tutti. Alla spicciolata vengono le nuore, le nipoti e tutti si danno da fare come se avessero già compiti prestabiliti, collaudati da anni di convivenza insieme. Poi verso le due arrivano i lavoratori dalla campagna: il nonno, i figli, i nipoti. Si lavano in fretta e poi tutti a tavola. Il nonno occupa il posto a capotavola, le donne si siedono da un lato vicino alla cucina, gli uomini di fronte, solo noi ci mettiamo dove capita. Si inizia il pranzo, il nonno fa una preghiera e benedice il cibo, ringrazia Dio, ringrazia la natura di essere stata così generosa. Non mi ero aspettata questa consuetudine, sono in imbarazzo e non so cosa fare. Tengo gli occhi bassi e mormoro:"Grazie!".
Il pranzo ha inizio, sfilano davanti ai nostri occhi mozzarelle e burrata casalinghe, focacce, saporiti pomodori, pasta al sugo, gnocchi, involtini, vino fatto in casa...sapori buoni, genuini, di altri tempi. Già ma chi li ha conosciuti poi questi tempi? Forse solo dai racconti dei nonni o dei genitori o ci piace immaginarceli in un certo modo. Certo che sanno di buono, di scorrere lento del tempo, di alternanza delle stagioni, di scrutare il cielo a naso in su e sperare che ci accompagni, di sfiorare una spiga di grano e saggiarne la consistenza.
Sentiamo i loro discorsi si parla della campagna, del tempo, variabile fondamentale, ci si preoccupa per le mucche che stanno partorendo e per la pioggia in arrivo. Ci si occupa della terra con amore e cura perchè solo così potrà donare frutti e prodotti buoni e preziosi.
Vedo le loro mani piagate dal lavoro, i solchi sui visi cotti dal sole.
In ogni masseria c'è un ulivo millenario che sorveglia e protegge la casa e la famiglia.


Il nonno in realtà non parla mai ma si capisce che decide tutto lui e il rispetto nei suoi confronti ovviamente è massimo da parte di tutti.

Mi incuriosisce osservare i ragazzi, sono educatissimi, discreti ma gentili, quasi hanno paura ad incrociare il nostro sguardo.
Troppo facile giungere ad affrettate conclusioni del tipo, questi sì che hanno la testa sulle spalle non come i teenager di città persi dietro al tablet, shottini e robe varie. Forse già solo il fatto di alzarsi la mattina alle 4 per andare a lavorare in campagna leva molti grilli per la testa e fa concentrare su cose più serie o almeno ti impedisce di finire in quella noia che porta spesso ad avere comportamenti scemi. Non sono ragazzi che vivono isolati ma anzi hanno il cellulare, hanno idee chiare, lavorano la terra ma studiano pure agraria, le ragazze vanno all'università.
Li osservo e li ammiro, percepisco che si sentono davvero parte di una famiglia, che si lavora tutti per un progetto comune, per amore, forse per tradizione ma non certo per dovere. Sento vivi il rispetto per gli anziani, per gli ospiti, la convivialità, il dividere le proprie cose con gli altri, l'amore per la terra, per il proprio lavoro...è tutto bellissimo ma lo sento molto lontano da noi, anzi mi chiedo se mai ci sono appartenuti questi valori.

Alla fine del pranzo dobbiamo ripartire per Roma, ci alziamo da tavola satolli e salutiamo tutti con quella strana sensazione di non sapere davvero se ci rivedremo visti i tanti chilometri che ci separano ma con la consapevolezza di essere stati davvero accolti in questa grande famiglia e di aver potuto condividere con loro un fine settimana davvero diverso e speciale.


La prima parte:

mercoledì 8 ottobre 2014

Il collezionista

Questa estate rimarrà nei miei ricordi anche per un fatto strano che è accaduto.
Sono stata per un mese e mezzo al mare, ho vissuto quasi in una bolla, lontano dalla città, senza macchina, vivendo in simbiosi io&le Pop. Aspettavo il ritorno di mm da Roma come quando nel far west si aspettava l'arrivo della diligenza per avere generi di conforto e notizie dalla Capitale. 
Devo dire che si stava bene lontano da tutto e tutti, con l'eco delle notizie (ma quali notizie poi?) dei tg che arrivava da lontano.
Un giorno il mio trait d'union (mm, sempre lui) con la civiltà, col resto del mondo che era rimasto appunto lì fuori, mi fa:"Ti ha cercata al telefono una tizia in ufficio. Dice di essere una tua compagna di università ma di cui tu sicuramente non ti ricordi". Mi dice il nome, ci penso su, la cosa mi puzza e non riesco a ricordarmi di nessuno che si chiami così. Comunque le ha dato il mio cellulare e mi chiamerà. Mi telefona poco dopo e ovviamente non è niente di tutto questo, era una scusa per mettersi in contatto con me.
Ho fatto un salto all'indietro temporale di dieci anni o giù di lì.

Ho rivissuto cosa si prova quando finisce un sogno, una storia in cui avevi creduto e in cui avevi investito tanto, in cui forse all'inizio ti ci eri buttata un po' per caso ma che in breve era diventata quella della vita, o almeno così pareva.

Ho riprovato cosa si prova quando ti viene tolta all'improvviso la terra sotto ai piedi, quando tutto quello in cui credevi viene spazzato via in un secondo, quando al posto della serenità e amore di prima ora invece trovi solo un muro di gomma, anzi peggio il freddo dell'indifferenza, il gelo dell'"Ora siamo solo amici" anzi peggio "Siamo come fratello e sorella", l'ostilità e il desiderio di allontanamento dietro quel fottutissimo paio di imperscrutabili occhiali da sole!

Ho rivissuto la disperazione di non sapere che fare, dell'"È impossibile che tutto questo stia capitando davvero a me, anzi a noi, ma quale NOI che ora non esiste più", il non sapere che pesci prendere, a chi rivolgermi, dove sbattere la testa, il tentare di fare anche cose senza senso, stupide, azzardate, l'impossibile pur di fare qualcosa, di non essere costretta a subire le circostanze e ancor peggio essere io la responsabile della fine di tutto.

Mi sono rivista nelle sue parole, nei suoi gesti, nelle sue lacrime, nei suoi mille perchè, nella disperazione, ho rivisto la Me di dieci anni fa. La me che chiamava l'ultima persona che ti saresti aspettata ovvero la rivale in amore chiedendo aiuto, cercando di capire, di dare una risposta alle mie domande ma provando anche a metterla in guardia, forse invano?, da Lui. A quel tempo non ottenni nulla se non forse comprensibile perplessità.
Ora, dopo dieci anni, la storia si ripete ma il mio ruolo è un altro.
Il bivio è: cosa decido di fare? Aiuto, per quello che posso questa donna, sconosciuta, che è giunta a me non si sa come ma che la modalità con cui lo ha fatto mi infastidisce e mi preoccupa? Forse in un altro momento avrei tagliato corto e avrei attaccato il telefono.
Ma proprio perchè ho rivisto in lei la Me di dieci anni fa, ho riconosciuto gli stessi silenzi, le stesse domande, la stessa sete di vendetta, la stessa speranza di trovare una sorta di solidarietà femminile. L'ho ascoltata e le ho dato dei consigli per quanto ho potuto.
A quanto pare negli anni il trattamento riservato a me si è ripetuto tante ma tante volte, gettando nella disperazione svariate donne che ogni volta hanno sperato e creduto di essere invece quella giusta. Il motivo non so quale sia ma il ripetersi sempre uguale della trama è inquietante. 
Non so cosa passa nella testa di un uomo proprio nel momento in cui la felicità sembra ad un passo all'improvviso, dare un calcio a tutto e cancellare con un colpo di spugna tutto quello che si era creato. Forse paura di relazioni stabili? Delle responsabilità? Masochismo? Normale logorio delle relazioni amorose?
Non ho risposte, chi può dirlo? Forse la risposta è nei meandri della psiche sommersa da invalicabili meccanismi di difesa.
E di persone così ce ne sono davvero tante, in cui prima o poi può capitare di incappare.
Forse ce ne se accorge dopo tanto tempo, cieche di fronte ai vapori del primo innamoramento.
Ci vuole tanto per capirlo, per accettarlo, per non addossarsi tutte le colpe e per andare avanti ma prima o poi in qualche modo si trova il modo per uscirne, per guardare oltre, per farsene una ragione.
Penso sempre che non siamo noi quelle sbagliate, quella che ci perde non siamo certo noi, che prima o poi riusciamo a rialzarci in piedi, che la lezione non la impariamo mai, per fortuna aggiungerei, e siamo pronte di nuovo a ributtarci con entusiasmo nella vita, convinte che questa volta, questa sì sarà davvero quella giusta.
Possiamo sperare di non incontrare di nuovo quella categoria ma non possiamo di certo evitarlo. Quale categoria?  C'è chi colleziona farfalle e chi cuori infranti...