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domenica 16 luglio 2017

Cronache spiaggine

Per uno strano gioco del destino incappo su un profilo Fb nel seguente post

"Avanzo il braccio verso la doccia, poso la mano sulla manopola, la muovo lentamente facendola ruotare verso sinistra.
Mi sono appena svegliato, ho gli occhi ancora pieni di sonno, ma sono perfettamente cosciente che il gesto che sto compiendo per inaugurare la mia giornata è un atto decisivo e solenne, che mi mette in contatto con la cultura e la natura insieme, con millenni di civiltà umana e col travaglio delle ere geologiche che hanno dato forma al pianeta. Quello che chiedo alla doccia è innanzitutto di confermarmi come padrone dell'acqua, come appartenente a quella parte di umanità che ha ereditato dagli sforzi di generazioni, la prerogativa di chiamare l'acqua a sè con la semplice rotazione d'un rubinetto, come detentore del privilegio di vivere in un secolo e in un luogo in cui si può godere in qualsiasi momento della più generosa profusione di acque limpide. E so che perchè questo miracolo si ripeta ogni giorno deve verificarsi una serie di condizioni complesse, per cui l'apertura di un rubinetto non può essere un gesto distratto e automatico, ma richiede concentrazione, una partecipazione interiore.
Ecco che al mio richiamo l'acqua sale per le tubature, preme nei sifoni, solleva e abbassa i galleggianti che regolano l'afflusso nelle vasche, appena una differenza di pressione l'attrae là accorre, propaga il suo appello attraverso gli allacciamenti, si dirama per la rete dei collettori, scolma e ricolma i serbatoi, preme contro le dighe dei bacini, scorre dai filtri dei depuratori, avanza lungo tutto il fronte delle condutture che la convogliano verso la città, dopo averla raccolta e accumulata in una fase del suo ciclo senza fine, forse stillata dalle bocche dei ghiacciai giù per scoscesi torrenti, forse aspirata dalle falde sotterranee, sgrondata attraverso le vene della roccia, assorbita dalle crepe del suolo, scesa dal cielo in un fitto sipario di neve, pioggia, grandine.
Mentre con la destra regolo il miscelatore, protendo la sinistra aperta a conca per buttarmi la prima acqua sugli occhi e svegliarmi definitivamente (...)
Ma prima che una goccia s'affacci a ogni foro della rosa e si prolunghi in uno stillicidio ancora incerto per poi subito tutt'insieme gonfiarsi in una raggiera di getti vibranti, bisogna sopportare l'attesa di un intero secondo, un secondo di incertezza in cui nulla m' assicura che il mondo contenga ancora dell'acqua e non sia diventato un pianeta secco e pulverulento come gli altri corpi celesti più prossimi, o comunque che ci sia acqua abbastanza perchè io possa riceverla qui nel cavo delle mie mani, lontano come sono da ogni bacino o sorgente, nel cuore di questa fortezza di cemento e d'asfalto.
(...) Mi coglie il pensiero che l'abbondanza in cui ho diguazzato fino a oggi sia precaria e illusoria, che l'acqua potrebbe tornare ad essere un bene raro, trasportato con sforzo. (...)
Se or ora una tentazione d'orgoglio titanico m'aveva sfiorato nell'impadronirmi delle leve del comando delle rubinetterie, è bastato un istante per farmi considerare il mio delirio d'onnipotenza come ingiustificabile e fatuo, ed è con trepidazione e umiltà che spio l'arrivo del fiotto che s'annuncia su per il tubo in un tremito sommesso. Ma se fosse solo una bolla d'aria che passa nelle condutture vuote?(...) Alzo il viso verso la doccia attendendo che tra un secondo gli schizzi mi piovano sulle palpebre semichiuse liberando il mio sguardo assonnato che ora sta esplorando la rosa di lamiera cromata cosparsa di forellini orlati di calcare, ed ecco che in essa mi appare un paesaggio lunare crivellato di crateri calcinosi, no, sono i deserti dell'Iran che sto guardando dall'aereo, punteggiati di piccoli crateri bianchi in fila a distanze regolari, che segnalano il viaggio dell'acqua nelle condutture di tremila anni in funzione. i "qanat" che scorrono sotterranei per tratti di cinquanta metri e comunicano con la superficie attraverso questi pozzi dove un uomo può calarsi, legato a una fune, per la manutenzione del condotto. (...)
I percorsi artificiali dell'acqua presso le civiltà assetate scorrono sottoterra o in superficie, cioè non si differenziano molto dai percorsi naturali, mentre invece il gran lusso delle civiltà prodighe di linfa vitale è quello di far vincere all'acqua la forza di gravità, di farla salire perché poi ricada. (...)
Il punto d'arrivo dell'acquedotto è sempre la città, la grande spugna fatta per assorbire e irrorare.(...) Una città trasparente scorre di continuo nello spessore compatto delle pietre e della calce,una rete di fili d'acqua fascia i muri e le vie.
Le metafore superficiali definiscono la città come un agglomerato di pietra, diamante sfaccettato o carbone fuligginoso, ma ogni metropoli può essere vista come una grande struttura liquida, uno spazio delimitato da linee d'acqua verticali e orizzontali, una stratificazione di luoghi soggetti a maree e inondazioni e risacche, dove il genere umano realizza un ideale di vita anfibia che risponde alla sua vocazione profonda.
O forse è la vocazione profonda dell'acqua quella che la città realizza: il salire, lo zampillare, lo scorrere dal basso verso l'alto. E' nella dimensione dell'altezza che una città si riconosce: una Manhattan che innalza le sue vasche in vetta ai grattacieli, una Toledo che per secoli deve attingere barile su barile dalle correnti del Tago laggiù in fondo e caricarli sopra i basti dei muli, fino a che per la delizia di Filippo II scricchiolando si mette in moto e travasa su per il dirupo dal fiume all'Alcazar, miracolo di corta durata, il contenuto di secchi oscillanti.
Eccomi dunque pronto ad accogliere l'acqua non come qualcosa che mi sia dovuto naturalmente, ma come un incontro d'amore la cui libertà e felicità é proporzionale agli ostacoli che ha dovuto superare. Per vivere in piena confidenza con l'acqua i Romani avevano posto al centro della loro vita pubblica le terme; oggi per noi questa confidenza é il cuore della vita privata. Qui sotto questa doccia i cui rivoli tante volte ho visto scorrere giù per la tua pelle, naiade, nereide ondina, e così ancora oggi ti vedo apparire e sparire nello sventagliare degli spruzzi, ora che l'acqua sgorga obbedendo veloce al mio richiamo."

Lo confesso: il post è preso da Barale Paola; l'ho letto e ne sono rimasta sorpresa, ho pensato: però che capoccia! Chi l'avrebbe mai detto? E il tutto ispirato da una doccia mattutina. Poi ho letto più in basso e c'era il nome dell'autore Italo Calvino... ah ecco!

Devo dire che nel nostro piccolo sono pensieri che ultimamente facciamo spesso: l'importanza dell'acqua, dei piccoli gesti quotidiani ormai dati per scontati e dovuti, perchè qui al mare manca l'acqua.

Consiglio per i paparazzi all'ascolto: può darsi che Barale Paola soggiorni dalle nostre parti se le è venuto in mente un tale argomento.
Della mancanza di acqua qui all'inizio era una cosa di cui sentivamo solo parlare dalle altre persone, poi da qualche giorno ha iniziato a colpire pure a noi; all'inizio si trattava di un paio d'ore, poi per più tempo, in maniera casuale. Abbiamo cercato di trovare una regolarità in tutto ciò per poterci organizzare ma non è ben chiaro. Il disagio è iniziato in crescendo, dapprima per poche ore ci organizzavamo con le bottiglie riempite d'acqua poi il tempo di assenza è aumentato, prima ripiegavamo facendo la doccia allo stabilimento poi da ieri manca l'acqua pure lì. Siamo partiti facendo lo shampoo tutti i giorni, passando dal fare la doccia con l'acqua dolce arrivando a "l'importante è levare la sabbia, anzi il sale addosso fa pure bene, dicono". Approderemo a: la pipì dei bambini e santa e non lavarsi non ha mai ucciso nessuno?! Si guarda con terrore ad agosto in cui tutti dicono che le cose peggioreranno per l'arrivo di ulteriori bagnanti e il clima sempre più arido.

Gli anziani si chiedono: ma come facevamo noi un tempo quando non c'era l'acqua corrente? I forestieri di paesi più sfortunati si domandano: ma come facevamo noi a casa nostra che l'acqua un giorno c'era e l'altro no? Come facevano gli antichi? ecc

Tutte domande legittime, la risposta è che in qualche modo facevano, la differenza sta nel fatto che non avevano alternative e non avevano mai provato condizioni diverse e migliori. Per noi invece resta il disagio, la sensazione di vivere in un campeggio libero.

Vedo la gente non incazzata ma rassegnata e questo mi stupisce e poi sento parlare di dispersioni idriche dell'acquedotto del 60%, mi sembra assurdo subire tutto ciò non su un'isola in mezzo al mare come forse sarebbe giustificabile e comprensibile ma sulla terraferma.

Questa situazione ovviamente ci fa riflettere sull'importanza del bene acqua, su quanto diamo per scontati e consolidati gesti come girare la manovella della doccia e accendere la luce, su quanto sia necessario non sprecare acqua e quanto vivere un disagio sulla propria pelle serva a capirlo pure alle Pop.

sabato 8 luglio 2017

Cronache Marine

Ero una di quelle che odiava svegliarsi la mattina e sentire odore di soffritto o di ragù appena alzata.
Ora sono diventata io una di quelle appestatrici olfattive.
Subito dopo la colazione, ah a proposito, posso dirlo? Mi manca il cappuccino con la schiuma che mi preparava mm a Roma, mettendoci inspiegabilmente tre ore a farlo ma, mi manca. Anche se fossi lì sola, non riuscirei comunque a prepararmelo, non ho mai preso confidenza con quelle macchinette per l'espresso. Ho sempre ripiegato all'occorrenza su un misero caffellatte scaldato al microonde. E anche qui si va di caffellatte.
Subito dopo si pensa già a cosa fare per pranzo e a cena perchè le Pop sono fameliche, il mare mette appetito e non possono aspettare più di tanto.
La quantità di roba che porto in spiaggia mi sembra aumentare di giorno in giorno, una volta prima o poi dovrò pesare le borse per rendermi conto delle masserizie che ho nelle sacche.
Tanto cibo di sicuro, le Pop amano variare ogni volta e la mattina mi chiedono l'elenco di quello che ho portato così possono regolarsi durante la giornata al mare e alternano bagno-spuntino-bagno-fermino ecc. Poi è indispensabile portare anche varie ed eventuali, quindi libro delle vacanze da fare sotto l'ombrellone ma uno, certo, anche per Marta per non sentirsi da meno, libro di giochi, uno adatto ai 6 e uno ai 4 anni, poi scopro di avere a mia insaputa in borsa anche occhiali da sole, loro, flaconi numero due di bolle di sapone. Poi ci sono i miei libri che pesano un sacco, di misura mai inferiore alle 200 pagine. Ne sto facendo fuori uno a settimana. Probabilmente per questo alcuni mi dicono:"Ti vedo stanca, insolitamente inattiva" sarà perchè da un paio di anni riesco a leggere un po' sul lettino. Evviva!
E' bello vedere le Pop, soprattutto la grande, mangiare senza protestare ma anzi con gusto cibi  che solitamente schifa.

Tra le altre incombenze quotidiane c'è quella della spesa, qui ci sono due questioni molto importanti. La prima è evitare un orario in cui ci siano tante persone perchè i negozi sono piccolini, il personale non è celerissimo e anche con un pochino più di affluenza si crea il caos. Un'altra problematica è che spesso dopo una certa ora, spesso anche già in tarda mattinata, il cibo sparisce, si esaurisce proprio e quindi capita di andare all'alimentari e trovare gli scaffali vuoti, al che mi chiedo:"Ma che stai aperto a fare?" oppure mi domando come non gli convenga fare scorte maggiori per guadagnare di più. Ma comunque ormai ho capito che la soddisfazione del cliente da queste parti è all'ultimo gradino delle priorità. Un'altra cosa che ho notato ma che purtroppo è comune ai luoghi di villeggiatura è il fatto di cercare di solare sempre il villeggiante o il forestiero anche se qui inspiegabilmente spesso si tratta peggio il turista del residente. Inoltre c'è un atteggiamento generale di non accoglienza nè gentilezza nei confronti dei clienti quasi che non fossero proprio loro la fonte di ricchezza. Va bè usi e costumi radicati nel tempo che finora sono stati tollerati e accettati a mezza bocca solo in virtù del paradiso in terra di cui scrivevo nello scorso post.


Non so come mai ma ogni estate che sono qui riesco in qualche modo a ferirmi e a procurarmi una cicatrice permanente. Un anno mi sono tagliata un dito tagliando il pane, il seguente mi sono bruciata l'avambraccio con la teglia da forno. Per non parlare di quella volta che facendo la doccia con le Pop ci è esplosa la porta di cristallo in una miriade di frammenti. Ferite profonde e antipatiche da subire soprattutto al mare con la sabbia e l'acqua salata a complicare il tutto. Con angoscia mi chiedo quest'anno cosa mi succederà. Ogni tanto mi capita di guardare queste cicatrici e di ripensare a quello che è successo, al come, al dove e al tempo trascorso. Ora capisco il senso dei tatuaggi, dovrebbe funzionare alla stessa maniera, un promemoria sulla pelle indelebile nel tempo.